Una verticale così non capita tutti i giorni e per questo inizio col ringraziare la famiglia Marone Cinzano per avermi fatto vivere questa splendida esperienza.

Quella di Col d’Orcia Γ¨ una storia con radici nel passato: conosciuta sin dal 1890 con il nome Fattoria di Sant’Angelo sotto la proprietΓ della famiglia fiorentina Franceschi, acquisisce l’attuale nome nel 1958 quando i fratelli Leopoldo e Stefano ereditano la proprietΓ e se la suddividono. Leopoldo battezza la sua tenuta Il Poggione e Stefano battezza la sua Col d’Orcia, collina sull’Orcia, il fiume che attraversa la proprietΓ . Nel 1973 il Conte Alberto Marone Cinzano intuisce che a Montalcino, all’epoca uno dei Comuni piΓΉ poveri d’Italia c’era del grosso potenziale e ne acquista la proprietΓ . L’idea principale Γ¨ quella di produrre vino di qualitΓ e cosΓ¬ da quei pochi ettari si raggiungono ad inizio anni ’80 i 70 ettari vitati. Quello della famiglia Cinzano, nome iconico del commercio di liquori, diventa da subito un volano per l’internazionalizzazione del Brunello e di Montalcino in generale.
Dal 1992 le redini dell’azienda sono in mano a Francesco Marone Cinzano, figlio di Alberto. A lui si devono in primis la grande espansione dell’azienda, oggi terzo produttore di Montalcino, ma soprattutto molti traguardi quali la certificazione biologica, oggi la piΓΉ grande azienda toscana a fregiarsi di tale titolo.
Siamo nel versante sud di Montalcino, 450 ettari che si estendono dal paese di Sant’Angelo in Colle fino al fiume Orcia. Posizione invidiabile per esposizione e per microclima, protetta dalla barriera del Monte Amiata e influenzata dal Mar Tirreno che in linea d’aria dista poco piΓΉ di 30 km. 150 ettari vitati di cui oltre 100 destinati alla produzione di Brunello.
Poggio al Vento nasce con l’idea di fare un vino di alta qualitΓ . L’impianto di 5,5 ettari Γ¨ del 1974 e si trova nella parte piΓΉ alta della proprietΓ . E’ il primo vigneto moderno, non promiscuo. Il suolo Γ¨ di origine eocenica, derivante dal disfacimento delle rocce primarie che danno origine al galestro, ricco di calcare. Origine massale della piantagione di barbatelle prelevate dai vigneti degli anni ’30 e ’40. La prima annata di produzione Γ¨ la 1982. Quella che stiamo per affrontare non Γ¨ una semplice verticale ma un viaggio nel tempo raccontato dai suoi protagonisti. In cattedra Francesco Marone Cinzano, Giuliano Dragoni, in attivitΓ da 47 anni. la memoria storica di Col d’Orcia, Antonino Zanchida winemaker dal 2009 e Michele Turchi in forza dal 2010.
Prima di passare ai vini vi voglio sintetizzare come la ricerca e sviluppo si sia evoluta e concretizzata nel corso dei decenni. Vi riporto alcuni tratti dei racconti di Dragoni.
Diradamento dei grappoli: per decidere il numero di grappoli per pianto ci sono voluti anni. Nel 1990 erano 12, progressivamente abbiamo assistito ad una diminuzione fino a 6. Sono numerosi gli effetti del diradamento: aumento alcolico, dei tannini e degli antociani, in generale del livello qualitativo dell’uva. Dopo anni Γ¨ stato stabilito che il numero ottimale di grappoli per pianta fosse di 8/10 con rese per ettaro che si aggirano attorno ai 62/65 quintali.
Inerbimento: utilizzato a partire dagli anni ’90 con la funzione di assorbire le piogge, favorire la biodiversitΓ e anticipare le maturazioni. Con questa tecnica la vendemmia veniva anticipata di 7/8 giorni.
Cambiamenti: nel corso degli anni abbiamo assistito ad un moderato cambio di gestione passando gradualmente dal cordone speronato al guyot. Da inerbimento si passa al sovescio che apporta nuova vita grazie all’incorporazione del materiale vegetale nel suolo aumentandone la sostanza organica. Dal 2010 viene utilizzato il compostaggio, prima con letame di bovino ora integrato con residui di potatura, raspi dei grappoli, erbe di sfalcio. Oggi viene aggiunta anche la zeolite, una polvere di roccia con la funzione di coadiuvante nella ritenzione idrica del suolo, in sostanza riesce a cedere acqua alla pianta quando questa ne ha bisogno.
Selezione clonale: dal 1990 al 2000 sono stati individuati ben 19 cloni diversi di cui ben 3 sono stati omologati (CD04, CD06, CD08) e messi in commercio. Dragoni spiega che rinunciare all’eterogeneitΓ deΓ² vigneto poteva essere sbagliato e che a suo avviso, abbandonando le massali, tra 50 anni avremo vini tutti uguali.
La degustazione:

2010 (magnum): annata strepitosa, definita semplice. 4 anni di botte (da 27 a 75 hl) e 3 di bottiglia. 2.100 di polifenoli. Rubino intenso, naso profondo e complesso: mora, ribes, un boisè non invadente. fresco al palato, piacevole e di buona acidità , tannino con bella centralità . Un vino che sembra giovanissimo e che regala su un lungo finale note di spezie e foglia di tabacco.
2007 (magnum): rubino intenso, frutto carnoso in confettura ma privo di qualsiasi nota di surmaturazione. Lieve boisΓ¨, spezie, piccoli frutti rossi. Al palato ha un tannino piΓΉ marcato della 2010 ma non troppo astringente. L’aciditΓ Γ¨ ben bilanciata e mostra una notevole centralitΓ al palato.
2006 (magnum): annata di grande equilibrio, la mia preferita della verticale. Rubino carico, naso di grande intensitΓ e complessitΓ . Cofettura di frutti rossi, note di tostatura, piccoli frutti di bosco sotto spirito. L’ingresso in bocca Γ¨ potente, tannini morbidi, maturi e setosi. Ha una grande struttura ed un finale infinito. 15 anni e non sentirli perchΓ¨ davanti a se ha ancora un futuro radioso.
2004 (magnum): annata che rappresenta uno spartiacque per quanto riguarda lo stile. Il colore Γ¨ piΓΉ intenso dei precedenti, quasi impenetrabile. Emergono note balsamiche, di liquirizia e nouance terziarie importanti. Al palato Γ¨ armonico, tannino presente, setoso, morbido. Meno coerente degli altri tra naso (molto evoluto) e palato (molto giovane).
1999 (magnum): altro crocevia nella storia di Poggio al Vento. Andando indietro nel tempo si riscontrano minori polifenoli (1.500), minor estratto ed alcool, ma una sensazione di maggiore calore, corpo e pienezza. Un vino che al naso presenta una bella evoluzione: marasca, frutta rossa in confettura, spezie ed un boisè molto elegante. Tannino presente ma sottile, pieno e avvolgente con una acidità che si sente più sulla parte laterale della bocca. Un vino integro, ancora giovane.
1995 (magnum): naso evoluto che regala note di tabacco, cuoio, spezie e chiodo di garofano. Legno perfettamente integrato. Il sorso è fresco, tutte le componenti sono molto posate, tali da renderlo armonico. Lunga persistenza, chiude su note fumè e di frutta rossa in confettura con una leggera scia dolce.
1990: Prima svolta sul colore, finora rubino intenso. Qua il colore Γ¨ granato con alcuni riflessi aranciati sull’unghia. Naso molto evoluto ma di grande pulizia e nitidezza. Cacao amaro, tabacco, spezie, i terziari abbondano. Il sorso Γ¨ molto fresco, la sensazione Γ¨ che andando indietro nel tempo l’aciditΓ la faccia da padrona. Il tannino Γ¨ morbido, per niente asciutto, lunga la persistenza.

Conclusioni:
Passano gli anni, cambiano gli enologi, vengono introdotte innovazioni in vigna e in cantina, ma Poggio al Vento mantiene la sua identitΓ . Abbiamo avuto la fortuna di fare un percorso lungo 20 anni e la prima cosa che balza all’occhio Γ¨ il colore: tranne la 1990 ci troviamo di fronte dei Brunello dal colore Rubino intenso, bellissimi. Oltre al colore c’Γ¨ un altro fil rouge che accomuna tutte le annate in verticale: l’integritΓ . Vini che hanno mantenuto grande freschezza, dai tannini setosi, dai profumi che tendono alla maturazione del frutto ma mai alla surmaturazione, vini equilibrati, armonici, e con ancora molti anni davanti a sΓ©. La 2006 continua ad essere la mia annata preferita, ulteriore conferma dopo una verticale di qualche anno fa: riesce magicamente ad unire potenza e raffinatezza.
Dimenticavo: alla verticale Γ¨ seguita una splendida cena dove sono state servite una Jeroboam di Rosso di Montalcino 2011 (strepitoso!) ed un commovente Moscadello di Montalcino “Pascena” 1999.




Un sentito ringraziamento alla famiglia Marone Cinzano: esperienze così non si dimenticano.