Laurent Ponsot: lo stylist della houte couture del vino

Un cognome che per ogni appassionato di vino e più in particolare di Borgogna viene associato ad uno dei più blasonati Domaine della regione. Storia di oltre un secolo e mezzo, base a Morey-Saint-Denis e possedimenti in alcuni dei Grand Cru iconici come Clos de la Roche o Clos de Vougeot. Ma probabilmente molti di voi si ricorderanno di Larent Ponsot, dal documentario Sour Grapes, come dell’uomo che ha fatto saltare baracca e burattini al famosissimo falsario del vino Rudy Kurniawan che incautamente aveva mandato in asta bottiglie del Domaine di annate mai prodotte.

Doveroso fare questa chiosa perchè l’evento sopra citato ha sicuramente influito sui successivi step che Ponsot ha intrapreso, prima all’interno del Domaine di famiglia, introducendo una traccabilità delle bottiglie volta a garantirne l’originalità, poi prendendo una strada del tutto personale che lo ha portato nel 2017 alla fondazione della Laurent Ponsot Sas a Gilly-les-Citeaux.

La nuova Sas non è da considerare nè un Domaine, nè una Maison: ha una doppia personalità da viticoltori (coltivano 7 ettari di proprietà) e da commercianti. L’ideologia di base è quella della houte coture… vini sartoriali fatti tramite le proprietà a disposizione ma anche attraverso una scelta accurata di uve in base alla loro provenienza e alle loro caratteristiche: nei numerosi vini infatti troviamo molte Cuvée frutto dei decennali studi di Laurent sul territorio e di una certosina selezione volta ad ottenere prodotti finiti impeccabili.

Emblematico è il logo utilizzato: una L di colore verde come le foglie della vite e che scende figurativamente dal cielo, una P grigio scuro a simboleggiare il buio della cantina che affonda le sue radici nella terra. Lettere segnate da barre orizzontali simbolo di aperura verso il mondo, segno del “negociant”.

La visione moderna passa attraverso due caratteristiche principali: il tappo e il controllo della temperatura delle bottiglie.

Su tutte le bottiglie è applicato un sensore di temperatura di colore verde. Se la bottiglia viene esposta a temperature troppo elevate il sensore diventa di colore nero in maniera irreversibile. Tale sensore è una sorta di garanzia di conservazione delle bottiglie. Sulle casse di Grand Cru il sistema è ancora più sviluppato: il sensore registra la temperatura interna ogni 3 ore e per 15 anni e avvicinando uno smartphone dotato di tecnologia NCF all’adesivo apposto sulla cassa hai accesso diretto a tutti i dati relativi alle temperature rilevate, il tutto senza neanche dover aprire la cassa che può rimanere sigillata. E non finisce qui perchè il programma calcola addirittura un punteggio in base alle oscillazioni fornendo dati circa lo stato di conservazione.

Sempre sulle bottiglie di Grand Cru è presente un sensore anche all’interno della capsula tramite il quale è possibile verificare l’autenticità della bottiglia oltre che vedere le sue caratteristiche.

Passiamo ora al tappo: gli studi sul tappo di Laurent Ponsot hanno origine da almeno quattro decenni. L’idea di base è quella di garantire con certezza la conservazione del vino all’interno della bottiglia, eliminando ovviamente il difetto di tappo ma non solo, mantenere il gesto di apertura con il cavatappi, la parte romantica, chiamiamola così.

Quello utilizzato oggi da Ponsot è un tappo “tecnologico” sviluppato dalla società Guala, oggi Ardea Seal. Un tappo che ha tutte le caratteristiche del sughero e quindi densità, elasticità e porosità, ma fatto in polimero e addirittura riciclabile. Il tappo è formato da un telaio interno rigido, e nella parte esterna da materia elastica termoplastica espansa che impedisce ogni forma di allungamento e deformazione anche in periodi prolungati di permanenza nel colla della bottiglia: via quindi scambi di gas spesso causa di ossidazione pur permanendo un leggerissimo scambio di ossigeno. In sostanza: tutte le caratteristiche di un buon sughero ma senza le possibili problematiche del sughero.

I vini degustati:

Mersault Cuvee du Pandorea 2019

Bevuto alla cieca con amici appassionati. Premessa doverosa perchè gli spunti più interessanti vengono da confronti di questo genere. In primis tutti d’accordo su indentificarlo come uno Chardonnay di Borgogna. La complessità è stata individuare la zona perchè questo Mersault, giovane, aveva un’eleganza ed una finezza difficilmente rintracciabili in quella zona dove i vini sono spesso grassi, burrosi, opulenti, caratteristiche che probabilmente questo vino assumerà evolvendosi nel tempo. Quindi le ipotesi iniziali propendono per Puligny (comunque terra confinante) finchè arriva un’esclamazione risolutiva: potrebbe essere un Mersault e se lo fosse è senza dubbio uno dei più buoni mai bevuti. Un vino dai sentori floreali incredibili: tiglio, camomilla, biancospino. Con note di mandorla non tostata, di agrumi, con nouances vegetali. Il sorso è freschissimo, leggermente sapido e con una rotondità e piacevolezza che garantiscono un equilibrio perfetto. Lunghissimo nel finale dove tornano note agrumate e floreali. Ad oggi una bevuta spettacolare che lascia una grande curiosità circa la sua evoluzione nel tempo.

Bourgogne Cuvee du Perce-Neige 2017

Circa 4 anni di bottiglia in più rispetto all’annata corrente regalano a questo vino una complessità non usuale per un Bourgogne Blanc. Il vino si presenta di un colore giallo paglierino intenso con riflessi dorati. Al naso è profondo e di grande intensità: ad un iniziale nota di fiori bianchi si affiancano nocciola tostata, agrumi e frutta gialla matura, seguono interessanti sentori di miele di acacia e liquirizia. Al palato è pieno, avvolgente, con una acidità molto rilevante. Se inizialmente il sorso sembra propendere per le morbidezze, in bocca si equilibra alternandosi con sensazioni dure. Splendida bevuta, vino dal rapporto qualità prezzo incredibile.

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