Poggibonsi Caput Mundi
“La Via Maestra, oggi Via della Repubblica e prima ancora Via Vittorio Emanuele II, è la strada centrale di Poggibonsi”.
Il Sali e Tabacchi di Giulio Gambelli era di fronte alla Ferramente del Manetti.
Quel Sergio Manetti che tra gli anni ‘50 e ‘60 nel pieno del boom industriale aveva creato un’importante azienda siderurgica.
Quel Sergio Manetti che nel 1967 acquistò un podere a Radda in Chianti… che da Poggibonsi comportava oltre 1 ora di viaggio tra strade bianche e dissestate.
Quel Sergio Manetti che con l’idea di fare il vino per se e per gli amici, chiese aiuto all’amico e dirimpettaio di bottega Giulio Gambelli.
Dal 1971 Giulio Gambelli caratterizzò quei vini di Montevertine, quel Sangiovese allevato ad oltre 300 metri di altitudine.
Un po’ di storia
Siamo a Montevertine, nel comune di Radda in Chianti. Cenni storici riportano che questo borgo era abitato fin dal XI Secolo e che certamente svolgeva una funzione di carattere difensivo. Quando Sergio Manetti, industriale siderurgico poggibonsese, acquista all’asta la proprietà si trova in mano un podere rurale ed il suo intento è quello di farne una dimora per le sue vacanze. Decide anche di impiantare 2 ettari di vigneto e costruire una piccola cantina, per fare un pò di vino per la sua famiglia e per gli amici.
Nel 1971 è pronta la prima annata, il vino sembra molto buono e così Sergio decide di inviarne qualche bottiglia al Vinitaly tramite la Camera di Commercio di Siena. La vita talvolta è fatta di destini che si incrociano inaspettatamente e così quei campioni inviati quasi per gioco, riscuotono da subito un successo incredibile. Entusiasta del risultato, Sergio decide di abbandonare l’attività industriale dedicandosi esclusivamente a quella vitivinicola. Si avvale così della consulenza di Giulio Gambelli, al secolo “bicchierino” e del supporto in vigna e in cantina di Bruno Bini, che da sempre aveva vissuto in quella zona e la conosceva come le proprie tasche.
Il punto di partenza fu quello di dare risalto al Sangiovese: “Le uve bianche nel Chianti, previste dal disciplinare, diluivano la grinta del Sangiovese”. All’epoca era un’affermazione e una scelta che definire “controcorrente” era riduttivo.
Sangiovese di Radda
La convinzione di dare risalto al Sangiovese di Radda era sempre più pressante e così contro tutti e tutto Montevertine prese una strada senza mai voltarsi indietro. Tra fine anni ’60 e ’70 c’era un grande fermento in tutto il Chianti Classico, alcuni stavano rompendo le righe del disciplinare mossi dalla volontà di innovare e proporre qualcosa di diverso. A San Felice nel 1968 era nato il Vigorello (anche qui c’era la mano di Giulio Gambelli), a Monsanto, Fabrizio Bianchi nel 1974 aveva creato il suo Sangioveto.
E così il Consorzio nel 1980 non accetto quel Sangiovese in purezza che a breve sarebbe diventato mitico, il Pergole Torte e nel 1981 bocciò il Chianti Classico perchè non rispettava i parametri.
•
“𝕄𝕒 𝕥𝕚 𝕡𝕒𝕣𝕖 𝕔𝕙𝕖 𝕧𝕒𝕕𝕒 𝕒 𝕣𝕠𝕧𝕚𝕟𝕒𝕣𝕖 𝕚𝕝 𝕞𝕚𝕠 𝕧𝕚𝕟𝕠 𝕞𝕖𝕥𝕥𝕖𝕟𝕕𝕠𝕔𝕚 𝕝𝕖 𝕦𝕧𝕖 𝕓𝕚𝕒𝕟𝕔𝕙𝕖? 𝕀𝕠 𝕝𝕠 𝕗𝕒𝕔𝕔𝕚𝕠 𝕔𝕠𝕞𝕖 𝕔𝕣𝕖𝕕𝕠 𝕤𝕚𝕒 𝕞𝕖𝕘𝕝𝕚𝕠, 𝕡𝕠𝕚 𝕤𝕖 𝕢𝕦𝕖𝕝𝕝𝕚 𝕕𝕖𝕝 ℂ𝕠𝕟𝕤𝕠𝕣𝕫𝕚𝕠 𝕟𝕠𝕟 𝕞𝕚 𝕧𝕠𝕣𝕣𝕒𝕟𝕟𝕠 𝕗𝕒𝕣ò 𝕦𝕟 𝕍𝕚𝕟𝕠 𝕕𝕒 𝕋𝕒𝕧𝕠𝕝𝕒!”
•
Detto fatto, nel 1984 Montevertine esce dal Consorzio del Chianti Classico senza rientrarci mai più. Un uscita per niente silenziosa tanto che Manetti decise inoltre di aggiungere la dicitura “Riserva” al suo secondo vino, Montevertine, nonostante che il disciplinare non permettesse di utilizzarla.
•
“ℙ𝕒𝕘𝕠 𝕠𝕘𝕟𝕚 𝕒𝕟𝕟𝕠 𝕦𝕟𝕒 𝕞𝕦𝕝𝕥𝕒 𝕡𝕖𝕣𝕔𝕙è 𝕢𝕦𝕖𝕝 𝕧𝕚𝕟𝕠 è 𝕡𝕚ù 𝕓𝕦𝕠𝕟𝕠 𝕕𝕚 𝕢𝕦𝕒𝕤𝕚 𝕥𝕦𝕥𝕥𝕚 𝕚 ℂ𝕙𝕚𝕒𝕟𝕥𝕚 ℂ𝕝𝕒𝕤𝕤𝕚𝕔𝕠 ℝ𝕚𝕤𝕖𝕣𝕧𝕒, 𝕖 𝕒𝕝𝕝𝕠𝕣𝕒 𝕝𝕠 𝕧𝕠𝕘𝕝𝕚𝕠 𝕔𝕙𝕚𝕒𝕞𝕒𝕣𝕖 𝕔𝕠𝕤ì!”
Nonostante i nomi, sempre riportati sulle etichette, siano cambiati, a Montevertine si continua a fare il vino come 50 anni fa. Alla guida dell’azienda c’è Martino Manetti, figlio di Sergio scomparso nel 2000. Vigna e cantina sono seguite dall’enologo Paolo Salvi fedele successore di Bruno Bini e di Giulio Gambelli. Seppur nel corso degli anni la cantina si sia dotata di alcune innovazioni tecnologiche i capisaldi della filosofia montevertiniana sono rimasti intatti. Vasche di cemento vetrificato per le fermentazioni, concetto di gravità sviluppato da oltre 40 anni su più livelli e grazie all’ausilio di tubazioni, botti in rovere di Slavonia e barrique di Allier. Nessun volo pindarico, tutto apparentemente semplice e concreto.
L’azienda oggi può contare su 18 ettari vitati, suddivisi in 9 vigneti dove domina il Sangiovese (90%) affiancato da Canaiolo e Colorino. Dal 2009 è stata avviata una coltivazione interamente biologica. Terreni calcarei con presenza di galestro e alberese ad un altitudine media di circa 450 metri.
Mentre girovaghiamo per i vari locali della cantina Martino ci racconta qualche aneddoto su Giulio Gambelli.
“ℙ𝕖𝕣 𝕞𝕖 𝕖𝕣𝕒 “𝕝’𝕦𝕠𝕞𝕠 𝕕𝕖𝕝 𝕞𝕠𝕟𝕥𝕖”. 𝕊𝕚 𝕒𝕘𝕘𝕚𝕣𝕒𝕧𝕒 𝕡𝕖𝕣 𝕚 𝕧𝕚𝕘𝕟𝕖𝕥𝕚 𝕖 𝕒𝕤𝕤𝕒𝕘𝕘𝕚𝕒𝕧𝕒 𝕝’𝕦𝕧𝕒 𝕕𝕒 𝕦𝕟 𝕗𝕚𝕝𝕒𝕣𝕖 𝕒𝕝𝕝’𝕒𝕝𝕥𝕣𝕠 𝕗𝕚𝕟𝕔𝕙è 𝕟𝕠𝕟 𝕕𝕖𝕔𝕚𝕕𝕖𝕧𝕒 𝕔𝕙𝕖 𝕖𝕣𝕒 𝕒𝕣𝕣𝕚𝕧𝕒𝕥𝕠 𝕚𝕝 𝕞𝕠𝕞𝕖𝕟𝕥𝕠 𝕘𝕚𝕦𝕤𝕥𝕠 𝕕𝕚 𝕧𝕖𝕟𝕕𝕖𝕞𝕞𝕚𝕒𝕣𝕖. 𝕃’𝕦𝕠𝕞𝕠 𝕕𝕖𝕝 𝕞𝕠𝕟𝕥𝕖 𝕙𝕒 𝕕𝕖𝕥𝕥𝕠 𝕤ì… 𝕖 𝕕𝕒 𝕢𝕦𝕖𝕝 𝕞𝕠𝕞𝕖𝕟𝕥𝕠 𝕡𝕒𝕣𝕥𝕚𝕧𝕒 𝕥𝕦𝕥𝕥𝕠”.
E ancora:
“𝔸𝕧𝕖𝕧𝕒 𝕦𝕟𝕒 𝕔𝕒𝕡𝕒𝕔𝕚𝕥à 𝕚𝕟𝕔𝕣𝕖𝕕𝕚𝕓𝕚𝕝𝕖 𝕕𝕚 𝕔𝕒𝕡𝕚𝕣𝕖 𝕔𝕠𝕞𝕖 𝕤𝕒𝕣𝕖𝕓𝕓𝕖 𝕤𝕥𝕒𝕥𝕒 𝕝’𝕒𝕟𝕟𝕒𝕥𝕒. 𝔸𝕝 𝕤𝕖𝕔𝕠𝕟𝕕𝕠 𝕘𝕚𝕠𝕣𝕟𝕠 𝕕𝕚 𝕗𝕖𝕣𝕞𝕖𝕟𝕥𝕒𝕫𝕚𝕠𝕟𝕖 𝕒𝕤𝕤𝕒𝕘𝕘𝕚𝕒𝕧𝕒 𝕚𝕝 𝕞𝕠𝕤𝕥𝕠 𝕖 𝕤𝕖𝕟𝕥𝕖𝕟𝕫𝕚𝕒𝕧𝕒. ℕ𝕠𝕟 𝕙𝕒 𝕞𝕒𝕚 𝕤𝕓𝕒𝕘𝕝𝕚𝕒𝕥𝕠 𝕡𝕣𝕖𝕧𝕚𝕤𝕚𝕠𝕟𝕖.”
Quelli di Martino sono ricordi emozionati: quando cita il Gambelli non parla di un amico del babbo, ma quasi di un suo secondo padre.
ℙ𝕖𝕣𝕘𝕠𝕝𝕖 𝕋𝕠𝕣𝕥𝕖 𝕖 𝔸𝕝𝕓𝕖𝕣𝕥𝕠 𝕄𝕒𝕟𝕗𝕣𝕖𝕕𝕚 – 𝕀𝕝 𝕍𝕚𝕟𝕠 𝕖 𝕝’𝔸𝕣𝕥𝕖, 𝕚𝕝 𝕍𝕚𝕟𝕠 è 𝔸𝕣𝕥𝕖
𝓪𝓻𝓽𝓮 𝓼. 𝓯. [𝓵𝓪𝓽. 𝓪𝓻𝓼 𝓪𝓻𝓽𝓲𝓼]. – 1. 𝓪. 𝓘𝓷 𝓼𝓮𝓷𝓼𝓸 𝓵𝓪𝓽𝓸, 𝓬𝓪𝓹𝓪𝓬𝓲𝓽à 𝓭𝓲 𝓪𝓰𝓲𝓻𝓮 𝓮 𝓭𝓲 𝓹𝓻𝓸𝓭𝓾𝓻𝓻𝓮, 𝓫𝓪𝓼𝓪𝓽𝓪 𝓼𝓾 𝓾𝓷 𝓹𝓪𝓻𝓽𝓲𝓬𝓸𝓵𝓪𝓻𝓮 𝓬𝓸𝓶𝓹𝓵𝓮𝓼𝓼𝓸 𝓭𝓲 𝓻𝓮𝓰𝓸𝓵𝓮 𝓮 𝓭𝓲 𝓮𝓼𝓹𝓮𝓻𝓲𝓮𝓷𝔃𝓮 𝓬𝓸𝓷𝓸𝓼𝓬𝓲𝓽𝓲𝓿𝓮 𝓮 𝓽𝓮𝓬𝓷𝓲𝓬𝓱𝓮, 𝓮 𝓺𝓾𝓲𝓷𝓭𝓲 𝓪𝓷𝓬𝓱𝓮 𝓵’𝓲𝓷𝓼𝓲𝓮𝓶𝓮 𝓭𝓮𝓵𝓵𝓮 𝓻𝓮𝓰𝓸𝓵𝓮 𝓮 𝓭𝓮𝓲 𝓹𝓻𝓸𝓬𝓮𝓭𝓲𝓶𝓮𝓷𝓽𝓲 𝓹𝓮𝓻 𝓼𝓿𝓸𝓵𝓰𝓮𝓻𝓮 𝓾𝓷’𝓪𝓽𝓽𝓲𝓿𝓲𝓽à 𝓾𝓶𝓪𝓷𝓪 𝓲𝓷 𝓿𝓲𝓼𝓽𝓪 𝓭𝓲 𝓭𝓮𝓽𝓮𝓻𝓶𝓲𝓷𝓪𝓽𝓲 𝓻𝓲𝓼𝓾𝓵𝓽𝓪𝓽𝓲.
•
Sono del parere che la definizione di arte possa essere tranquillamente utilizzata per spiegare cosa è un vino. Le Pergole Torte sono un’opera d’arte, il primo Sangiovese in purezza della zona, nato del 1977. I lavori di Alberto Manfredi sono ovviamente delle opere d’arte. Le opere dell’artista reggiano non solo accompagnano Le Pergole Torte dal 1982, si sono fuse con esso creando un simbolo, un’icona. L’universo femminile rappresentato attraverso figure taglienti, spigolose, disincantate e mutevoli. Ogni anno una figura diversa come a rappresentare la variabilità delle annate di vendemmia, come a voler ribadire che ogni anno troverai un vino diverso, per natura, ma con lo stesso stile.
Conclusione
E i vini degustati?
Certe volte le storie, gli aneddoti e i racconti valgono più di una asettica descrizione tecnica. Quando vi trovate di fronte a vini di questo calibro non fermatevi alle apparenze ma scavate in profondità per capire quello che c’è dietro. Un vino può essere grandissimo quando è tecnicamente ben fatto ma un vino può diventare monumentale soltanto quando ha tanto da raccontare. Con Martino Manetti ci siamo incrociati ad eventi, degustazioni, anteprime, ma trascorrere del tempo con lui, nel suo regno, ha tutt’altra valenza. Queste sono le esperienze che ti accrescono veramente dal punto di vista umano e culturale.
Tutte queste bottiglie di Pergole Torte? E’ il mio vino del cuore, una vera ossessione! L’obiettivo è quello di avere una verticale completa! Non manca molto… e vi anticipo che quando ci riuscirò, organizzerò una bella degustazione per pochi intimi. Magari inviterò proprio qualcuno di voi!
One Reply to “Montevertine: aneddoti e storie di una cantina diventata mito”