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Ore 22:30 di un qualunque giorno infrasettimanale. Sono rilassato sul divano quando mi arriva una telefonata da @sangioveseswag27 mio vicino di casa. – Comandante – mi dice – sali subito da me, ti devo far assaggiare una cosa -. Provo a titubare per la stanchezza della giornata e la pochissima voglia di uscire ma aggiunge – non ti avrei chiamato se non fosse una cosa straordinaria -. Così mi alzo dal divano mi vesto e faccio quella trentina di passi per raggiungerlo. Assieme a Giovanni trovo Francesco Sarri di Cantina Ripoli: sulla tavola un calice che mi aspetta. Mi avvicino con circospezione, lo guardo, lo riguardo, lo metto su una superficie bianca, poi in controluce. Il colore è intenso, concentrato, direi mattonato dal pigmento fitto. Lo porto al naso e vengo pervaso da una potente ondata di frutta rossa e piccole bacche in confettura, segue una bellissima nota floreale di viola. Inizio a pensare che sia un vino piuttosto giovane. Ad ogni olfazione cambia e si aggiungono una miriade di sentori: cuoio, cacao, tabacco, liquirizia, sottobosco e una percettibile nota ematica. Forse non è giovanissimo. Lo assaggio: un sorso pieno, concentrato dalla spiccata acidità, un tannino setoso dalla trama fittissima e di rara eleganza. Torno nuovamente sui mie passi dando un giudizio mediano: un vino abbastanza giovane. Ma cos’è? Alcune sensazioni mi portano nella Langhe ma tutta quella concentrazione, specialmente sul colore mi devia. Non so cosa rispondere. Tolgo la stagnola dalla bottiglia bramoso di sapere cos’è: l’etichetta è quasi illeggibile ma si intravedono alcune scritte. 1990, Barolo, Pianpolvere Soprano, Fenocchio. Una bottiglia leggendaria che mi racconta Francesco aver fatto brillare gli occhi durante una bendata di qualche anno fa nientemeno che al Cavalier Accomasso e a Beppe Rinaldi. Una bottiglia che parla di una Langa che non c’è più, che parla di Bussia, della storica Bussia prima che l’uomo ne tracciasse i confini, di uomini, Riccardo e Ferruccio Fenocchio, che non ci sono più. La storia scritta riporta a Napoleone che a fine ‘700 durante una delle sue campagne denominate “diversive” fece costruire una polveriera all’apice di una collina in una posizione chiave per i suoi scopi militari. Ecco spiegato il nome della vigna “Pianpolvere Soprano”. La storia scritta ci parla poi di come i fratelli Fenocchio abbiano intuito le potenzialità di quel terreno e ne abbiano colto i suoi frutti in ben 68 vendemmie, con punte di eccellenza negli anni ’90 per l’appunto. La storia scritta ci racconta che nel 1998 la vedova di Riccardo Fenocchio e madre di Ferruccio (enrambi tragicamente scomparsi) vende l’azienda a Rocche dei Manzoni. Di non scritto ci sarebbe molto di più… storie sepolte che sono andato a riesumare chiedendo a chi quegli anni li ha vissuti… storie che nessuno ha il piacere di ricordare e che per rispetto preferisco non riportare. Rimane il vino, la magia di quegli anni, di quella terra, di quelle persone, che posso dire di aver vissuto per un attimo, in un sorso. Un sorso indimenticabile.