Aprile 2018, Firenze, Villa Bardini, La Leggenda dei Frati. In corso una delle prime importanti degustazioni a cui prendo parte: in tavola con l’annata 2008 i più grandi Sangiovese della Toscana. Basterebbero queste premesse per avere un bel ricordo di una serata memorabile ma il punto sul quale voglio tornare è un altro. Al tavolo mi ritrovo con alcuni dei produttori più iconici di Montalcino e alla mia sinistra con grande ritardo dovuto al traffico fiorentino si siede Alessandro Mori. Fino a quel momento Il Marroneto era per me un’etichetta di grande prestigio, vini strepitosi di anno in anno, una cantina iconica di Montalcino. Conoscere Alessandro non è semplicemente servito a dare un volto a chi stava dietro quelle bottiglie ma è servito a farmi capire quanto i suoi vini fossero un tutt’uno con la persona.
Un po’ di storia
Siamo poco al di sotto del centro storico di Montalcino, circa 400 metri di altitudine con la più bella vista sulla Val d’Arbia e lo sguardo che si estende fino a Siena e alla zona meridionale del Chianti Classico.
Il nome “Marroneto” trae origine da un errore anagrafico. La torretta centrale della struttura dove oggi ha sede la cantina aveva la funzione di locale per l’essiccazione dei marroni, alimento tipico della cultura contadina. Mura, ancora oggi presenti, che risalgono addirittura al 1247. Durante il 1700 l’allora “Marronato” diventò per un errore di trascrizione negli archivi “Marroneto”.
Tutto ha inizio quando l’avvocato senese Giuseppe Mori acquista il podere nel 1974 e assieme ai figli Andrea e Alessandro, entrambi laureati in legge, pianta la prima vigna di circa 3000 metri con la volontà di produrre vino. La prima bottiglia è del 1980 ma i due figli intraprendono le loro carriere professionali che li portano lontano da Montalcino. E’ Alessandro che nel 1993 tornando al podere con l’intenzione di venderlo prende una decisione improvvisa che cambierà per sempre la sua vita: si licenzia e da Roma si trasferisce al Marroneto con l’idea di dedicare anima e corpo alla produzione del vino.
Oggi l’azienda conta circa 6 ettari e produce una media di 25.000 bottiglie annue.
La visita
Arrivo al Marroneto in una ventosa e fredda giornata di Dicembre. Quando entro in cantina trovo Alessandro intento a far assaggiare i suoi ospiti dalle botti. Mi unisco a loro in silenzio e ascolto…
Qualche giorno fa mi chiama un’agenzia:
– sig. Mori abbiamo degli importanti clienti russi che vorrebbero venire a trovarla –
– Mi dispiace ma non organizzo visite per i turisti –
– Ma stiamo parlando di persone facoltose, verranno con l’elicottero e sicuramente faranno importanti acquisti –
— L’elicottero non saprei dove farglielo parcheggiare e comunque non ho niente da vendere –
Ridiamo tutti, poi Alessandro mi guarda:
-Mi hanno chiamato per dirmi che sarebbe venuto a trovarmi un famoso Wine Blogger, saresti te? – ridiamo insieme – Prendi un calice e ripartiamo tutti insieme con gli assaggi –
Abbiamo assaggiato da ogni singola botte presente in cantina, una sorta di Pub Crawl irlandese, un Barrel Crawl.
Esperienza unica e per questo non finirò mai di ringraziare Alessandro che mi ha fatto apprezzare il suo Sangiovese spiegandone le differenze tra annate diverse ma sopratutto tra parcelle con terreni ed esposizioni diversi.
“Il Marroneto è una cosa semplice” dice Alessandro – tutto viene dagli insegnamenti di due maestri e dalla mia volontà di seguirli andando spesso contro corrente. Prima si cercavano vini morbidi e fruttati, io volevo altro e il tempo mi ha dato ragione. Un vino che all’epoca a Montalcino andava in direzione opposta rispetto alla massa tanto da essere a più riprese bollato come “Pinot Nero di Montalcino”.
Mario Cortevesio e Giulio Gambelli, sono questi i maestri a cui Alessandro fa riferimento.
Ad entrambi deve la concezione del Brunello che nel corso degli anni al Marroneto non è mai cambiata.
In vigna interventi essenziali che non prevedono diserbo, fitofarmaci sistemici, concimazione. Un ampio sesto di impianto per permettere al Sangiovese di trarre più benefici possibili dai primi 60 cm di terra per lo più sabbiosa. Da Paolo De Marchi ha mutuato l’inerbimento dei vigneti, lavorati con il vomere e senza scasso, utile anche a controllare la vigoria delle viti. In buona sostanza rispetto per la vite, per la natura, una sorta di concetto che oggi verrebbe etichettato come “biodinamico” ma che in quegli anni in pochi adottavano tanto che Alessandro si considera uno dei precursori in Toscana.
Attenta selezione in vigna che prevede anche 4 o 5 passaggi effettuati prima della vendemmia e solitamente entro luglio.
Le uve giungono in cantina nelle condizioni ideali perché come dice Alessandro – Un’uva curata non ha bisogno di niente -.



Ed infatti anche in cantina gli interventi sono limitati: lieviti indigeni, nessuna macerazione fermentativa, niente sali nutritivi, enzimi di fermentazione, temperature non pilotate: il tutto volto a ottenere vini di grande beva ed eleganza sia olfattiva che gustativa.
“La biblioteca della mia vita”

È così che Alessandro Mori chiama questo luogo situato nella parte più profonda della sua cantina. Ecco, se già la sua vista aveva suscitato in me profonda riverenza, sentendo quelle parole sono rimasto lunghi tratti attonito. La vita scorre spesso troppo velocemente per soffermarsi e riflettere ma pensateci bene: quelle pareti raccontano una storia, la vita di un uomo e di tutte le sue vendemmie, raccontano la personalità di chi sedendosi su quelle poltrone può fermarsi e compiacersi di quanto ha fatto prendendosi una pausa dal suo essere istrionico e irriverente, racconta di quanto intimo possa essere il rapporto tra l’uomo e il vino. Sono rimasto per lunghi minuti in silenzio, a pensare, a riflettere, ad ammirare.
La degustazione
Ignaccio Rosso di Montalcino DOC 2019

Una delle prime frasi che un bambino impara a pronunciare è “in braccio” ed è proprio dalla tipica distorsione di questa frase puerile che prende il nome il Rosso del Marroneto. Nome che viene evocato anche dall’etichetta dove appaiono dalla terra due mani femminili, simbolo di madre natura. Spesso si sente parlare di “baby Brunello” oppure di vino ottenuto dal declassamento del fratello maggiore. Non ho mai apprezzato questa imposta e forzata parentela tra i due vini di Montalcino, differenze sostanziali che si notano soltanto da chi ai due vini riesce a dare l’identità che meritano. Ignaccio è uno splendido Rosso con carattere e peculiarità uniche. È un vino che al naso gioca sul floreale e sul frutto rosso carnoso e fresco lasciando i terziari in sottofondo accompagnati da sterzanti note balsamiche. È un vino che dimostra grande agilità e freschezza al palato e che sopratutto regala una beva di una piacevolezza incredibile. Un Rosso che ti bevi con facilità e che puoi abbinare a tutto pasto grazie alla sua grande versatilità. Un sorso tira l’altro: da bere responsabilmente.
Jacopo Rosso di Montalcino DOC 2019

Per me la più bella novità del 2021. Il nuovo Rosso di Montalcino de Il Marroneto “Jacopo” che prende il nome dal figlio di Alessandro ma non solo. Jacopo è l’artefice di questo vino frutto di una sua accurata selezione tra le partite a disposizione. Un puzzle riuscito alla perfezione e che ha regalato in questa sua prima uscita un vino sorprendente, perfettamente in linea con lo stile del Marroneto ma con un tocco che lo distingue e lo rende riconoscibile. Ne esce un Rosso con maggiore corpo e struttura generale ma che non cade nella pesantezza del frutto, mai surmaturo, mantenendo una beva leggiadra, precisa, rinfrescante. Se questo è l’inizio chissà cosa dovremmo aspettarci un futuro!
Brunello di Montalcino DOCG 2017

La 2017 oltre che difficile è stata un’annata piuttosto anomale perché come scrissi in occasione di Benvenuto Brunello in molti casi le convinzioni sono state sovvertite. Come avevo trovato ottimi alcuni vini dalle zone più calde, cosa piuttosto inattesa, avevo anche trovato meno interessanti molti vini delle zone più fresche e in altitudine. Ossimori se si pensa agli andamenti generali dei versanti di Montalcino. Questo de Il Marroneto ha invece rispettato pienamente quello che potevamo aspettarci dal suo versante di appartenenza. Forse non sarà dotato di una longevità troppo elevata ma allo stato attuale è un Brunello in cui il naso e il palato parlano di grande freschezza più che di complessità terziaria ed intensità gustativa. È un Brunello perfetto specchio dell’annata dotato di una beva incredibile e di grande slancio al palato dove risulta verticale, fresco e dal tannino morbido. Un Brunello che non ha bisogno di avere un frutto surmaturo o in confettura, un Brunello che non appesantisce ma accarezza il palato rinfrescandolo con note balsamiche, in perfetto stile Marroneto.
Brunello di Montalcino “Madonna delle Grazie” DOCG 2017

Madonna delle Grazie è una selezione proveniente dalla vigna storica del Marroneto e prende il nome dall’omonima Chiesa risalente al 1200 che si trova in prossimità dell’azienda. Qua il suolo è notevolmente diverso dalle altre vigne: meno argilla, prevalenza di sabbia, scheletro minerale dove si rileva zolfo e ferro. Questo Brunello già popolare per meriti proprio entra nella storia per aver ottenuto con l’annata 2010 i 100 punti da Robert Parker.
“Per me questa 2017 è superiore alla 2015” così esordisce Alessandro Mori. Metto al naso il calice, lo assaggio, mi stupisco “Ma come hai fatto?” – la domanda sorge spontanea. “Sta a l’uomo interpretare l’annata, devi cogliere i segnali della natura e devi in qualche modo supportare la vite. In un’annata così non so defoglia, si cerca di proteggere dal caldo, cerchi di far assorbire alla pianta quel poco di acqua che ad esempio può prendere dalle rugiade mattutine. In cantina ti muovi affinché non si ottenga una marmellata ma il vino preservi la freschezza”.
Ed è proprio così: sorprendente al naso e coerente al palato. Floreale, frutto rosso maturo, erbe officinali. Sorso verticale, fresco, tannino dalla trama fitta, sapido. Una versione magica.

Brunello di Montalcino “Madonna delle Grazie” Riserva DOCG 2013 (Magnum)

Bonus track – “Le cose accadono talvolta in maniera inspiegabile “ è così che Alessandro ci racconta la nascita della prima (e attualmente unica) “Riserva” Madonna delle Grazie. “Tra tutte le botti c’era una che aveva qualcosa di speciale. Ho assaggiato e riassaggiato, ho fatto assaggiare a collaboratori, esperti, amici e tutti siamo stati concordi che c’era qualcosa di magico dentro, qualcosa che meritava di essere sottolineato”. Nascono così le 1700 bottiglie di Riserva, soltanto in formato magnum.
Ho avuto la fortuna di assaggiare ben 3 volte questa bottiglia, l’ultimo assaggio a Vinitaly 2022: tre momenti diversi che fanno intuire un’evoluzione ben lontana dall’essere raggiunta e fanno capire che questo sarà un vino di straordinaria longevità. C’è tanta materia nel calice a partire da un naso profondo e di grande complessità ma che deve ancora svelare terziari oggi appena accennati. C’è tanta sostanza anche al palato, mai eccessiva e sempre calibrata e bilanciata da acidità fatta di freschezza, sapidità e trama tannica cesellata. L’isola che non c’è e che all’improvviso si palesa, una chimera, un santo graal: non me ne voglia Alessandro ma non è soltanto un caso che al Marroneto, in quella botte n.18, all’improvviso, qualcosa di straordinario sia accaduto.
Conclusioni:
Da quella cena del 2018 ho tallonato Alessandro ad ogni evento a cui partecipava e devo dire che la sua accoglienza e disponibilità è sempre stata grande. Una persona di cuore che ha riconosciuto in me la passione e l’interesse per questo mondo. Era da tanto che volevo andare a trovarlo e finalmente ci sono riuscito: un’esperienza indimenticabile. 4 ore passate tra assaggi dalle botti, assaggi delle annate in commercio e sopratutto tante chiacchiere su passato e presente di Montalcino, sul Sangiovese, sul suo modo di pensare e di fare vino. Il tutto condito da tante risate perché Alessandro oltre ad essere un padrone di casa impeccabile è anche persona colta, arguta, irriverente. Non capita spesso di avere queste attenzioni e perciò non posso che essergliene grato. Sono pochi i personaggi nel mondo del vino che hanno plasmato uno stile proprio, identitario, riconoscibile. Scherzando ma non troppo si è definito il Benigni del vino visto i riconoscimenti che ha ottenuto nel corso degli anni. I suoi vini lo rappresentano in pieno e sono e saranno per sempre la traccia che lui ha lasciato in questo mondo.
Lo stile è l’impronta di ciò che si è in ciò che si fa.
(René Daumal)
Grazie ancora Ale, alla prossima.
L’ha ripubblicato su Sommelier on a Mission.
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